Anoressia nervosa e la rialimentazione
L’anoressia nervosa (AN) è caratterizzata – così come cita il criterio A del DSM-5- da una persistente restrizione dell’apporto energetico il quale porta ad un peso corporeo significativamente inferiore a quello previsto per altezza ed età; è inoltre caratterizzata da un’intensa paura di ingrassare ed un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso (anche se questo risulta significativamente basso).
Gli individui con AN sperimentano un disturbo nel modo in cui viene percepito il peso o la forma del proprio corpo, un’influenza eccessiva della forma e del peso corporeo sull’autovalutazione o una persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale basso peso corporeo. L’anoressia di tipo restrittivo è stata distinta da un’anoressia di tipo binge eating/purging; gli individui di quest’ultimo gruppo possono avere in modo intermittente episodi di abbuffate o possono ricorrere a metodi di compensazione- ad esempio il vomito autoindotto- per evitare l’aumento di peso.
AN mostra una complessa interazione tra fattori neurobiologici, psicologici e ambientali ed è un disturbo cronico con frequenti ricadute, ha un tasso di mortalità 12 volte superiore al tasso di mortalità per tutte le altre cause di morte per le donne di età compresa tra 15 e 24 anni. Il successo del trattamento è modesto e nessun farmaco è stato approvato per il trattamento.
Varie teorie psicologiche o psicodinamiche sono state sviluppate in passato per spiegare le cause dell’AN, ma le loro teorie sottostanti sono state difficili da testare. Al contrario, la ricerca neurobiologica che utilizza tecniche come l’imaging del cervello umano porta a ipotesi verificabili più direttamente e promette di aiutarci a distinguere i meccanismi che contribuiscono all’insorgenza della malattia, al mantenimento del comportamento AN e al recupero da AN.
Rilevante per il comportamento di evitamento del cibo è il sistema di ricompensa del cervello, che elabora la motivazione a mangiare e l’esperienza edonica dopo l’assunzione di cibo, calcola e aggiorna anche il valore di un alimento specifico per noi . Questo circuito include l’insula, che contiene la corteccia gustativa primaria, lo striato ventrale che comprende i terminali della dopamina per guidare l’approccio al cibo e la corteccia orbito frontale che calcola un valore, mentre l’ipotalamo integra i segnali del corpo su fame e sazietà per il processo decisionale di ordine superiore e approccio al cibo. Molti studi hanno utilizzato segnali alimentari visivi, ma è stato difficile trarre conclusioni sulla patofisiologia dell’AN da tali studi.
Qual è il primo passo da fare?
La rialimentazione è il primo passo importante per il recupero dall’anoressia nervosa (AN). L’obiettivo principale della rialimentazione dei pazienti ospedalizzati è intervenire sulla malnutrizione e sulle sue complicanze potenzialmente fatali tra cui: la sindrome da rialimentazione, che può manifestarsi tramite aritmia cardiaca, insufficienza o arresto cardiaco, anemia emolitica, delirio, convulsioni, coma e morte improvvisa. Si ritiene che queste sequele cliniche si verifichino in risposta al movimento intracellulare di glucosio, fluidi ed elettroliti causato da picchi di insulina dopo che i nutrienti sono stati reintrodotti in seguito al digiuno.
Fino a poco tempo fa, lo standard di cura per la rialimentazione in AN è stato quello di “iniziare dal basso e andare piano” per ridurre al minimo il rischio di sindrome da rialimentazione. Le raccomandazioni negli Stati Uniti iniziano con prescrizioni caloriche di circa 1200 al giorno con un lento avanzamento di circa 100 calorie al giorno (kcal/d). Livelli calorici di appena 200-600 kcal/die sono stati raccomandati in Europa e nel Regno Unito.
La rialimentazione a basso contenuto calorico è stata recentemente collegata a uno scarso aumento di peso e ad un ricovero prolungato. Il crescente riconoscimento della cosiddetta “sindrome da sottoalimentazione” ha stimolato un rinnovato interesse per approcci più aggressivi alla rialimentazione. Questi approcci sono vari, ma in genere iniziano con un avanzamento calorico più elevato e/o più rapido e possono essere somministrati attraverso i soli pasti o una combinazione di pasti con alimentazione nasogastrica supplementare (NG).
I pazienti fisiologicamente o psicologicamente instabili vengono ricoverati in ospedale per la rialimentazione. I criteri per il ricovero in ospedale variano in base alla regione, all’età (adolescenti vs. adulti) e al tipo di cura. Tuttavia, le linee guida pubblicate per l’assistenza ad adolescenti e adulti hanno suggerito che il ricovero ospedaliero è giustificato in presenza di anomalie dei segni vitali (bradicardia, ipotensione, frequenza cardiaca ortostatica e pressione sanguigna e ipotermia), mancata risposta a livelli inferiori di assistenza, suicidio, o altri gravi sintomi psichiatrici. La malnutrizione grave viene identificata quando: l’indice di massa corporea (BMI) < 15 kg/m 2 negli adulti o <70% del BMI mediano (%mBMI)
L’obiettivo iniziale della rialimentazione è ripristinare la stabilità fisiologica attraverso l’aumento di peso. La bradicardia si normalizza più rapidamente durante la rialimentazione rispetto ad altri segni, come i cambiamenti ortostatici, che possono richiedere settimane.
Negli Stati Uniti, nei soggetti adolescenti, la normalizzazione dei segni vitali è comunemente utilizzata come criterio di dimissione dalle unità di degenza medica, motivo per cui alcuni studi sulla rialimentazione hanno utilizzato la durata della degenza ospedaliera come indicatore del tempo necessario per raggiungere la stabilità medica. Oltre all’instabilità fisiologica alla presentazione, i pazienti sono a rischio di sviluppare complicanze durante il processo di rialimentazione stesso. L’ipofosfatemia da rialimentazione (RH) è utilizzata come marcatore sensibile di rischio per la sindrome da rialimentazione ed è più probabile che si verifichi in pazienti gravemente malnutriti.
Il monitoraggio degli elettroliti sierici ogni 24-48 ore è tipicamente raccomandato durante la prima settimana di ricovero, quando il rischio per lo sviluppo della sindrome da rialimentazione è più alto. Per questi motivi, sia il grado di malnutrizione che l’integrazione di elettroliti devono essere considerati quando si valutano gli studi sulla rialimentazione; inoltre non solo l’aumento di peso in ospedale è necessario per la stabilizzazione medica, ma può anche preparare il terreno per il recupero a lungo termine.
Oggi gli studi sull’anoressia nervosa -sia femminile che maschile – non sono ancora sufficienti, ma guarire dall’anoressia nervosa o da altri disturbi del comportamento alimentare è possibile.
Quello che ci auguriamo è che possano essere avviate delle campagne di prevenzione al fine di far conoscere questi disturbi e migliorare il rapporto che gli individui-soprattutto gli adolescenti- hanno con il cibo e con la propria immagine corporea.
Anoressia nervosa e la rialimentazione. Dott.ssa Mariailaria Tripodi Biologa Nutrizionista