Food Addiction
Termine coniato per la prima volta da Theron Randolph nel 1956 per descrivere il consumo di alcuni alimenti come caffè, latte, mais, frumento, uova e patate, attraverso un meccanismo di assunzione che pareva assai simile a quello che si osserva nel meccanismo che si genera nel disturbo da abuso di sostanze [1].
Ad oggi, quando facciamo riferimento al “Food Addiction” vogliamo indicare una nuova dipendenza, ovvero la dipendenza da cibo. La letteratura scientifica presenta diverse opinioni a riguardo, non tutte in accordo tra loro, poichè alcuni ricercatori descrivono la “Food Addiction” come il comportamento, spesso osservato in ambito clinico, legato alla ricerca spasmodica di cibi ipercalorici appetitosi ad alto contenuto di zucchero e grassi, in cui è presente una perdita di controllo al momento del loro consumo [2].
Secondo il modello del “Food Addiction” gli episodi di alimentazione eccessiva ed incontrollata sono molto frequenti nelle persone biologicamente vulnerabili a certi alimenti (tipicamente zuccheri e grassi), generano una sorta di dipendenza che rende la persona incapace di controllare la quantità del cibo che sta assumendo. Questo comportamento può essere considerato come un vero e proprio episodio di abbuffata, all’interno del quale patatine, snack, biscotti, cioccolate, merendine, gelati, torte, dolci di vario genere e prodotti altamente ipercalorici con alta palatabilità diventano protagonisti di quel momento di estrema vulnerabilità.
Nonostante ciò, alcuni ricercatori hanno evidenziato delle difficoltà nel traslare in modo sistematico le evidenze neurobiologiche che potrebbero aiutare a spiegare in modo più dettagliato il meccanismo che mette in relazione la “Food Addiction” e i disturbi da dipendenza, come nel caso di abuso di sostanze [3].
Una prima eventuale analisi per identificare le persone che hanno più probabilità di esibire dei marcatori di dipendenza per i cibi ricchi di grassi e di zuccheri è possibile oggi attraverso l’utilizzo di un questionario formato da 25 domande, lo Yale Food Addiction Scale, consistente di criteri sintomatici per la dipendenza da sostanze, espressi come tolleranza, astinenza, perdita di controllo, desiderio e fallimento, tempo speso, rinuncia ad attività sociali, lavorative o ricreative importanti, uso continuato nonostante le conseguenze persistenti, due domande del test mirano invece alla valutazione della presenza di danno clinico significativo o disagio, derivante dall’alimentazione in eccesso [4].
Il medico potrà fare diagnosi di dipendenza da cibo quando sono presenti almeno tre criteri sintomatici e un danno clinico significativo. In alternativa, può essere calcolato un punteggio dei sintomi da 1 a 7 per misurare la gravità della sintomatologia presente.
La “dipendenza da cibo” è oggi un comportamento molto diffuso, non sempre palesato e difficilmente affrontato dall’individuo che raramente si rivolge ad un professionista per chiedere aiuto. La consapevolezza e l’aumento della diffusione delle giuste informazioni a riguardo potranno in futuro fare luce su eventuali approcci risolutivi. Attualmente possiamo comunque far passare il concetto di quanto l’assetto psicologico di ogni persona possa influenzare la sua alimentazione, rivelando quindi una importante correlazione tra cibo e psicologia.
Bibliografia
[1] Randolph TG. The descriptive features of food addiction: addictive eating and drinking. Q J Stud Alcohol 1956;17:198-224.
[2] Claire Curtis & Caroline Davis (2014) A Qualitative Study of Binge Eating and Obesity From an Addiction Perspective, Eating Disorders: The Journal of Treatment & Prevention, 22:1, 19-32, DOI: 10.1080/10640266.2014.857515
[3] Fletcher, P.C., Kenny, P.J. Food addiction: a valid concept?. Neuropsychopharmacol 43, 2506–2513 (2018). https://doi.org/10.1038/s41386-018-0203-9
[4] Gearhardt AN, Corbin WR, Brownell KD. Preliminary validation of the Yale Food Addiction Scale. Appetite 2009;52:430-6.
Food Addiction, ma cos’è? Dott.ssa Giovanna Caparello